Lo scorso 24 gennaio il presidente del Burkina Faso, Christian Kaboré, è stato arrestato dai militari ammutinati ed è detenuto in una caserma della capitale Ouagadougou, sotto la custodia dei golpisti anche il presidente del parlamento, Alassane Bala Sakandé, e alcuni ministri. I militari insorti chiedono un cambio di strategia contro i jihadisti, che tengono in ostaggio il Paese oramai da anni in uno stillicidio di violenza quotidiana.
Giuseppe Baldi, responsabile Burkina Faso per la Fondazione, è riuscito a mettersi in contatto con il nsotro referente locale, Jean Pierre Nanna. Ecco la sua testimonianza:
"Ormai è certo, il golpe è riuscito. Fortunatamente senza violenze. I burkinabé sono andati al lavoro e la vita continua oggi, come è continuata ieri, senza particolari problemi. Il Paese, come era noto, è sotto assedio a causa del terrorismo e tutte le provincie settentrionali sono sfuggite al controllo dello Stato. In questi anni i morti civili e militari sono stati almeno 2000 e si parla di un milione di sfollati, molti arrivati anche nei villaggi dove lavoriamo. A fronte di questa grave situazione di emergenza nazionale legata all‘espandersi del terrorismo nel Paese, il presidente era accusato di totale immobilismo e incapacità. Non sembrava proprio essere all’altezza della situazione e mai era riuscito a coinvolgere altri paesi in questa lotta. Il Burkina Faso sembrava essere solo e ignorato. Il rischio ora è l’embargo dei paesi dell’Africa Occidentale e dell’Occidente, un po’ come è successo con il Mali."
Nella drammaticità dell’accaduto, la nostra speranza è che questo fatto non degeneri ulteriormente, che non ci siano altri morti e che possa attirare l’attenzione della comunità internazionale, soprattutto nella lotta al terrorsimo, che ha reso ancora più fragile il governo e tutta la popolazione del Burkina Faso.