Negli ultimi mesi la crisi sociale, politica e umanitaria del Burkina Faso si è aggravata. Due milioni di persone, circa un burkinabè su dieci, è sfollato. Il Burkina Faso sta vivendo in questo momento la seconda crisi di sfollamento più trascurata al mondo. Nel 2020 era al settimo posto. (Fonte: “The world’s most neglected displacement crises 2021” del Norwegian Refugee Council).
Scuole chiuse, violenze, fame, insicurezza alimentare, aumento della malnutrizione tra i bambini, centri sanitari chiusi: una situazione che dal 2015 sta mettendo a rischio la vita di milioni di persone. Anche per la Fondazione, come per le altre organizzazioni, aiutare chi più soffre è una sfida. Le poche aree che fino a pochi mesi fa erano raggiungibili per strada ora hanno bisogno di elicotteri per entrare. Da un po‘ di tempo non siamo più in grado di raggiungere i villaggi rurali dove lavoriamo nel nord-ovest del Paese, vale lo stesso per il nostro referente locale, Jean Pierre, nonostante sia un burkinabè.
Così quest’anno, a inizio anno, Jean Pierre non ci ha comunicato quanti bambini sono nati nella piccola maternità nel villaggio di Rim che abbiamo costruito oltre dieci anni fa: “Mi dispiace, non è stato possibile raccogliere i dati perché l’area è isolata a causa delle incursioni dei terroristi e le reti di comunicazione sono state sabotate”. Questo è stato il suo messaggio. Ha insistito e non si è dato per vinto. Qualche settimana fa è riuscito a stabilire un contatto e ci ha informato che nella maternità di Rim 211 donne hanno partorito. Tutti i bambini sono nati vivi e in buona salute. Ci ha anche detto che 262 donne hanno partecipato alle formazioni sulla pianificazione famigliare e che 232 bambini sono stati vaccinati.
Una piccola luce di speranza in quello che era a tutti gli effetti, prima del 2015, il “Paese degli uomini integri”.